Ho parlato poco di Billy perché lui non è come tutti gli altri cani che hanno riempito la mia vita, lui è diverso e il nostro rapporto è sempre stato complicato. Forse dovrei dire il mio rapporto con lui è stato complicato, perché lui ha sempre e solo chiesto le stesse semplici cose: attenzione e presenza.

Billy non è un cane che si accontenta. Ha sempre chiesto di più per ogni cosa: non gli bastava il cibo, non gli bastava la corsa, non gli bastava l’attenzione, non gli bastava la libertà. Lui, un cane trovato nel bosco con un vecchio collare di cuoio e un guinzaglio sporco e sdrucito, stremato dal caldo e dall’affanno, è entrato nella mia vita senza alcuna grazia, ed io l’ho accolto. No, non è vero, non l’ho accolto, avevo solo intenzione di fare “una buona azione”: salvarlo e poi trovare qualcuno che se lo prendesse con sé. Avevo Isotta e Artù, fiori all’occhiello in famiglia, perché dare asilo ad un lupoide sconosciuto e maleducato, che si divertiva a turbare la quiete domestica? Eppure è andata così: Billy non ha trovato padrone ed io mi sono ritrovata con un terzo cane che non volevo (ma davvero non lo volevo?) Ho sempre detestato la parola ”padrone” , tantomeno “proprietario”, neanche fossero biciclette o macchine, queste creature che inondano di amore le nostre vite. La uso ora per rimarcare che padroni non ci sono stati, né io avrei potuto, anche volendo, essere la sua padrona. Billy non ha mai avuto padroni e non ha mai avuto orari e regole, lui ha solo predato e ucciso, qualunque creatura più piccola di lui che non fosse suo simile o umana. Godeva a masticare uccellini vivi davanti ai miei occhi mentre urlavo inorridita. Mi ha ucciso Vivì, 2 mesi di micetta color champagne, raccolta in mezzo alla strada dopo un investimento e chiusa sotto chiave in una stanza, dopo le prime cure veterinarie, in attesa di nuova sistemazione. Billy ha scardinato la finestra, si è introdotto come un marine in camera da letto e l’ha uccisa. Io avrei voluto uccidere Billy. Sono trascorsi 7 anni da allora.

Credo nella continuità della vita, credo che tutto sia il risultato di un cammino antico. Credo che Billy sia stato un gatto, chissà, magari una pantera. La sua agilità nel balzare sui tavoli, arrampicarsi sui cancelli, camminare su grate e siepi mi ha sempre lasciata sbigottita. Billy sapeva molto prima di me quando io stavo per partire e si azionava per creare intoppi. Lui non voleva restare in un qui, mentre io ero in un lì.

Con Artù c’era rivalità, non tollerava la sua autorevolezza e il suo potere, ma ne aveva un disperato bisogno. L’ho capito tardi, quando anche Artù è volato lasciandoci tutti smarriti. Da quell’assenza, per Billy, è iniziata la discesa verso l’ombra. Neanche la gioia di vivere di Emma ha migliorato le cose.

Ora Billy ha paura. Mi ha chiesto aiuto perché il buio avanza e lui non sa più saltare sui tavoli ed arrampicarsi sui cancelli per fuggire a riprendersi in mano la vita. Ora è la vita a fuggire, e lui non sa più nemmeno dove si trova. Mi ha chiesto aiuto ed io ho creduto che volesse la mia mano per morire. Sgomenta, ho risposto: perché mi chiedi questo? Ma lui non ha chiesto aiuto per morire, quello sa farlo da solo. Alla fine vuole solo la mia attenzione e la mia presenza, quelle cose che gli ho sempre offerto ad intermittenza e che ora rappresentano la sua ancora di salvezza. Ora comprendo che Billy è stato l’unico capace di spiegarmi cosa si nasconde dietro al bisogno di fuggire. Anche per questo l’ho spesso detestato. Quanta terra abbiamo calpestato, quanta vita, quante rincorse disperate, quanti ritorni a casa. Lui ed io. Ed ora, dove andiamo? Ora è tempo di stare. E in questo tempo che ci è ancora concesso, ci racconteremo storie come due vecchi amici ritrovati e faremo a gara per scoprire chi dei due, in questo scorcio di vita insieme, è stato più testardo e più indomabile.

Tanto vinci tu, vecchio testone.

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